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Mario Schifano

(Homs 1934 – Roma 1998)

Acquatico, 1988

Acrilico e smalto su tela, cm 150,6 x 200,2

Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, collezione Franco Farina. Donazione Franco Farina e Lola Bonora, inv. 8279

 

Figura di spicco della scena pop internazionale, Mario Schifano esordisce da autodidatta nell’ambito della pittura informale del secondo dopoguerra. I soggiorni negli Stati Uniti, a partire dal 1962, lo mettono a contatto con le ricerche neodadaiste e con la nascente pop art e stimolano un interesse per i linguaggi comunicazione di massa, che si riflette nei celebri cicli dedicati ai marchi Coca Cola ed Esso. Negli anni Sessanta e Settanta Schifano rivisita a più riprese la storia dell’arte, dal futurismo a Magritte a De Chirico, anticipando il citazionismo che si diffonde negli anni Ottanta, e parallelamente estende la sua ricerca a media extrapittorici, come quello cinematografico. Quando l’artista torna alla pratica tradizionale del pennello, nel clima neoespressionista degli anni Ottanta, prosegue la sua riflessione sulla storia della pittura, con cicli come Ninfee. Acquatico scaturisce dalla volontà di mettere alla prova un gigante della pittura moderna come Claude Monet nel suo celeberrimo ciclo dedicato allo stagno di Giverny. Similmente al padre dell’impressionismo, Schifano riveste la tela di un arabesco di segni squillanti per evocare il gioco di riflessi superficie dell’acqua. Ma come l’acqua restituisce immagini ambigue, dove si sovrappone ciò che giace sul fondo, ciò che galleggia sulla superficie e ciò che vi viene riflesso, così l’arte e i media sono specchi inevitabilmente illusori della realtà che intendono rappresentare. 

L’opera è appartenuta a Franco Farina, direttore della Galleria Civica d’Arte Moderna di Ferrara e della programmazione espositiva di Palazzo dei Diamanti dagli anni Sessanta ai primi anni Novanta, che nel 1989 dedica all’artista un’antologica al Padiglione d’Arte Contemporanea a cura di Achille Bonito Oliva. Nel 2019 è stata donata ai musei ferraresi dalla vedova, Lola Bonora, assieme alle altre opere della collezione del marito.